Chiunque, almeno una volta, ha sentito usare l’espressione “dormire come un ghiro”. Un modo di dire diffuso, carico di significato, che trae origine dalla biologia affascinante di un piccolo e antico mammifero: il ghiro. Questo roditore, dall’aspetto simpatico ma dallo stile di vita rigoroso, non è solo un simbolo di pigrizia, come si è soliti pensare, ma rappresenta un eccezionale esempio di adattamento e risparmio energetico. La sua incredibile capacità di dormire per ore, giorni e perfino mesi, è il risultato di una strategia evolutiva sofisticata, perfetta per sopravvivere in ambienti mutevoli e talvolta ostili.

Un roditore con una lunga storia evolutiva

Il ghiro (Glis glis) appartiene alla famiglia dei Gliridi, un ramo antico dei roditori che si è separato dalla linea evolutiva degli scoiattoli circa 55 milioni di anni fa, durante il passaggio tra Paleocene ed Eocene. È diffuso in gran parte dell’Europa centro-occidentale, dove predilige gli ambienti forestali decidui, ricchi di alberi che forniscono rifugio, cibo e opportunità di riproduzione.

Si muove principalmente tra i rami, conducendo una vita arboricola molto dinamica durante la notte. Durante il giorno, invece, si ritira nei suoi nidi – scavati nel terreno, ricavati nei tronchi o anche nelle soffitte delle case rurali – per riposare. Tuttavia, è il suo rapporto con il sonno che ha catturato l’immaginario collettivo, rendendo il suo comportamento oggetto di studio da parte di etologi e biologi.

Dormire per vivere: il ritmo quotidiano del ghiro

Nel regno animale, il sonno ha funzioni fondamentali, ma pochi esseri viventi ne fanno un uso così strategico come il ghiro. Durante i mesi estivi, quando le notti si accorciano e le temperature aumentano, questo roditore resta attivo al calar del sole e si ritira nel suo torpore durante le ore di luce, rimanendo in uno stato di inattività per oltre nove ore. Questo comportamento si intensifica nei periodi di umidità o freddo, quando il metabolismo diminuisce e le attività quotidiane si riducono drasticamente.

D’altra parte, nelle giornate autunnali più miti o durante la raccolta intensa di semi e frutti, il tempo dedicato al riposo si riduce notevolmente: può scendere anche al di sotto dei trenta minuti, segno che l’animale adatta le proprie abitudini in base alle necessità ambientali.

Questa straordinaria elasticità fisiologica permette al ghiro di gestire le proprie energie in modo impeccabile, aumentando le possibilità di sopravvivenza senza sprechi inutili.

Il letargo: una macchina perfetta di sopravvivenza

Ciò che sorprende maggiormente nella biologia del ghiro è il letargo, un autentico capolavoro di efficienza energetica. Questo periodo di inattività profonda normalmente inizia tra settembre e novembre, con i maschi che si ritirano per primi, seguiti da femmine e giovani. Se non si riproducono, i ghiri possono anticipare il letargo addirittura all’inizio dell’estate, un evento raro, ma documentato.

Il letargo avviene all’interno di camere sotterranee scavate nel terreno, dove gli animali si rifugiano da soli o in piccoli gruppi, al riparo da predatori e sbalzi climatici. L’ingresso nel letargo non è repentino; l’animale inizia a ridurre il metabolismo e la produzione di calore, seguito da una progressiva diminuzione della temperatura corporea fino a raggiungere uno stato simile a una stasi fisiologica.

Durante questi lunghi mesi, il ghiro sopravvive grazie alle riserve di grasso accumulate in estate, che possono arrivare a costituire fino al 40% del suo peso corporeo. Un aumento considerevole, paragonabile a quello osservato in animali marini come le foche gravide. Alla fine del letargo, che può durare sei mesi o più, il ghiro riemerge in primavera, generalmente verso aprile o maggio, avendo perso circa il 30% del peso accumulato.

Dormire in questo modo non è dunque una semplice abitudine, ma una strategia altamente specializzata per affrontare lunghi periodi di scarsità alimentare e temperature rigide, con il minimo dispendio energetico e la massima probabilità di sopravvivenza.

Perché proprio il ghiro? Una questione linguistica (e culturale)

L’espressione “dormire come un ghiro” è radicata nella lingua italiana, ma non è universale. Altri paesi scelgono animali o immagini diverse per descrivere un sonno profondo. In inglese e francese, ad esempio, si usa dire “dormire come un sasso” (“sleep like a log” o “dormir comme une pierre”), oppure si ricorre al paragone con un neonato. In tedesco e spagnolo, invece, è la marmotta a essere il simbolo per eccellenza del lungo riposo.

Tuttavia, nel nostro immaginario, il ghiro rimane l’emblema della sonnolenza prolungata e indisturbata. Questo detto, spesso espresso in modo ironico o affettuoso, affonda le radici non solo nella biologia, ma anche nella cultura rurale e nell’osservazione diretta della natura, in particolare nelle aree montane italiane dove questi roditori sono più presenti.

Dormire come un ghiro: un messaggio (anche) per noi

Oggi, in un contesto in cui il sonno è spesso sottovalutato, disturbato o ridotto al minimo, il comportamento del ghiro può offrirci spunti significativi. Questo piccolo animale ci insegna che dormire non è mai tempo perso, ma un investimento fondamentale per il nostro equilibrio e benessere. Il suo letargo, regolato da segnali ambientali precisi e da un metabolismo sapientemente modulato, rappresenta l’apice del rispetto per i propri bisogni biologici.

Pertanto, quando affermiamo che qualcuno “dorme come un ghiro”, non ci riferiamo soltanto alla durata del sonno, ma anche alla sua profondità, qualità e funzionalità. In un mondo sempre più frenetico, forse c’è davvero molto da imparare da chi ha fatto del riposo una forma d’arte.