Nella confusione quotidiana – tra traffico, sveglie e notifiche – c’è un universo sonoro che ci sfiora appena. È il mondo degli animali, che non si limitano a fare versi indistinti, ma emettono suoni con significati, ritmi e persino nomi precisi. Sì, hai capito bene: ogni verso ha un nome. E spesso è molto più interessante (o buffo) di quanto immagini.

Se ti chiedessi come si chiama il verso del cervo o della marmotta, sapresti rispondere? E se ti dicessi che la giraffa, silenziosa per eccellenza, ha anch’essa un modo tutto suo di comunicare?

Scopriamolo insieme, immergendoci in un viaggio tra i suoni del mondo animale, tra parole dimenticate, termini inaspettati e curiosità da raccontare – magari anche ai più piccoli, tra una favola della buonanotte e un gioco da fare insieme.

Una lingua che non parliamo, ma che possiamo capire

Gli animali non usano parole. Eppure, si fanno capire benissimo. Il loro linguaggio è fatto di suoni, posture, gesti. E tra tutti questi segnali, il verso è forse quello che più ci colpisce – tanto da farci ridere, spaventare o persino commuovere.

Nella lingua italiana, la ricchezza lessicale ha fatto il resto: ogni verso ha un suo verbo dedicato, e spesso anche una musicalità che racconta molto del carattere di chi lo emette. Alcuni suoni sono noti a tutti – il cane abbaia, il gatto miagola, la mucca muggisce – ma dietro queste evidenze si nasconde un intero dizionario fatto di parole poetiche, sonore, antiche.

Basta un esempio per capirlo: il pavone non canta, non grida, non fischia. Paupula. Un verbo quasi teatrale, perfetto per descrivere l’animale più vanitoso del regno. E così via.

Quando gli uccelli fanno scuola di dizione

In cima alla lista degli animali più vocali ci sono senza dubbio gli uccelli, veri e propri maestri del suono. Alcuni, come l’usignolo, sembrano usciti da un conservatorio: gorgheggia, creando melodie così complesse da sembrare studiate.
Il pettirosso, invece, chiccola, un suono rapido e delicato, mentre il tordo bottaccio zirla, con un richiamo acuto che spesso annuncia il cambio di stagione.

Non manca poi chi garrisce, trilla, ciarla o cinguetta. È il caso della rondine, dell’allodola, del codirosso e del passero. Ogni suono ha una funzione precisa: difendere il territorio, attirare un compagno, lanciare un allarme.

E non pensare che solo i più piccoli tra i volatili abbiano voci degne di nota. Il barbagianni soffia, il picchio ride, la poiana fischia. Alcuni di questi versi sono così caratteristici da diventare, nel tempo, espressioni di uso comune, come nel caso del gufo, che bubola – una parola che sembra uscita da una fiaba gotica.

Suoni di terra: i versi (inaspettati) dei mammiferi

Cambiamo habitat, ma non colonna sonora. Anche tra i mammiferi, la varietà di suoni è sorprendente. Il cervo, per esempio, non si limita a muggire o emettere un richiamo indistinto: bramisce. Un suono grave, che si diffonde tra gli alberi in autunno durante la stagione degli amori.

E il cinghiale? Grufola, rovistando nel terreno, ma può anche grugnire se infastidito. Il capriolo, invece, ha un verso più secco: rantega. E in alcuni casi… abbaia.
Sì, anche la volpe guaiola, un verbo antico e quasi dimenticato che descrive il suo richiamo notturno, simile a un lamento sottile.

Sorpreso? Aspetta. Il furetto potpotta. Il suono è buffo, il nome ancora di più. E poi ci sono i grandi classici: il leone ruggisce, il cavallo nitrisce, l’asino raglia, l’elefante barrisce. Ma non tutti sanno che anche la giraffa comunica, anche se raramente la sentiamo farlo. Il suo verso si chiama landire: un soffio profondo, udibile solo a breve distanza.

Curiosità finale: il coniglio ziga, con un suono quasi impercettibile. E il giaguaro, maestoso e riservato, brontola. Proprio come chi si sveglia controvoglia.

Insetti e rettili: piccoli corpi, suoni netti

Non servono polmoni potenti per farsi sentire. Basta chiedere a cicale, zanzare e api. Le prime friniscono, producendo un suono ipnotico nelle giornate estive, mentre le seconde zufolano o ronzano, un rumore tanto sottile quanto insopportabile nelle notti afose.

Il cobra sibila, come nei film, e anche altri serpenti – come il biaccosoffiano per intimidire.

Poi c’è la rana, che gracida con voce rauca e ritmata, quasi in coro nelle pozze. E non scordiamoci i topi e gli scoiattoli, che squittiscono rapidi tra i cespugli, come se avessero sempre fretta.

E la balena? Non ruggisce, non sibila, non barrisce. Canta.

Un capitolo a parte merita lei, la regina degli oceani.
Le balene non fanno versi nel senso comune del termine. Cantano. Emettono suoni lunghi, profondi, modulati, che possono durare anche mezz’ora. E che viaggiano per chilometri attraverso l’acqua.

Ogni “canto” può avere significato di richiamo, orientamento, socializzazione. In alcuni casi, sembrano vere e proprie composizioni musicali. Se non l’hai mai ascoltato, fallo: è un’esperienza sensoriale potente.

Un linguaggio da riscoprire

Nel tempo abbiamo imparato a chiamare tutto per nome: oggetti, colori, emozioni. Ma spesso dimentichiamo che anche i suoni hanno un vocabolario, ricco, preciso, affascinante.
I versi degli animali non sono solo rumori, sono linguaggi. Modi di comunicare, relazionarsi, raccontarsi.

Impararne i nomi è un esercizio di attenzione, ma anche un modo per rientrare in contatto con la natura, con il mondo che ci circonda.
Non serve essere zoologi o poeti: basta ascoltare. Perché ogni “muuu”, “chicchirichì” o “gracidio” racchiude una storia, un intento, un messaggio.

E magari, la prossima volta che sentirai un uccello fuori dalla finestra, non penserai semplicemente: “sta cantando”. Ti chiederai: sta trillando? Garrendo? Forse… chiccolando?